Daniele Ferretti ha partecipato all’Autore dell’anno nel 2017 con il portfolio “Portrarts“, risultando finalista
1. L’intervista
In 5 righe descriviti come fotografo
Sono un fotoamatore che ha scoperto nel linguaggio fotografico la possibilità di esprimere la propria personalità introversa e curiosa. Tendo nelle immagini a ricercare il “bello”, l’armonia nelle forme, la linearità nella composizione. Divido l’amore per la fotografia con altre passioni, principalmente la musica, il cinema e l’informatica (il mio lavoro). Interessi che in qualche modo entrano in gioco anche nella realizzazione delle fotografie.
Quando e come ti sei appassionato al mondo della fotografia e che posto occupa nella tua vita
Il primo approccio con la fotografia l’ho avuto con una Kodak Instamatic che mi regalarono da piccolino. Da allora, seppure a fasi alterne, ho sempre continuato a fare fotografie. Solo con l’avvento del digitale la passione è cresciuta in maniera esponenziale, soprattutto per le nuove possibilità offerte dalla tecnologia di scattare velocemente e sperimentare in maniera autonoma.
Come si è evoluta la tua cultura fotografica: pratica, partecipazione a corsi, studio dei grandi autori, visite a mostre, ricerche sul web, libri di tecnica……
Credo di aver seguito un percorso comune a molti fotografi: corsi, libri, mostre e tanta pratica sul campo. Mi piace lasciarmi ispirare dalle immagini fotografiche dei grandi autori ma anche dalla pittura e dal cinema studiando l’impatto visivo che queste arti sanno regalare.
Hai dei generi fotografici che prediligi o ti piace la fotografia a 360°? Se vuoi motiva la tua scelta
Sperimento generi fotografici differenti. Ritrattistica, street e fotografia minimalista (specie in ambito urbano) sono quelli che mi appassionano maggiormente. Per vari anni ho anche praticato la fotografia sportiva documentando il basket professionistico della regione.
Rapporto analogica/digitale e rapporto colore/bianconero, come ti muovi nei confronti degli eterni dilemmi di fondo che agitano la vita di un fotografo?
Il mio percorso formativo non ha conosciuto il fascino della camera oscura e dello sviluppo analogico in bianco e nero. In realtà, si tratta di un passaggio che non mi ha mai appassionato veramente. Sono un fotografo dell’era digitale e mi piace poter gestire personalmente lo sviluppo dei miei RAW (indifferentemente a colori o bianconero) secondo le sensibilità e i gusti che mi appartengono e utilizzando al meglio gli strumenti del mio tempo.
Partecipi alla vita di un fotoclub? Puoi motivare questa tua scelta? Cosa ti affascina delle attività collettive?
Solo da quest’anno sono iscritto a un fotoclub, purtroppo non riesco a partecipare attivamente alla vita del circolo per questioni di orario di lavoro. Credo che il confronto con altri fotoamatori nell’ambito di un circolo possa essere arricchente nell’ottica di una condivisione serena delle conoscenze ed esperienze di ciascuno. Detto questo, non riuscirei in alcun modo a fare uscite fotografiche “di gruppo”. Sono piuttosto geloso dei miei momenti di fotografia; cerco di viverli il più possibile da solo, senza distrazioni e prendendomi tutto il tempo che mi occorre.
Come sei entrato nel mondo del portfolio fotografico e come vivi adesso queste esperienze?
Ragionare per portfolio significa aver acquisito una maturità progettuale che consente di esprimere con la propria personalità e stile narrativo una storia o un messaggio. Personalmente, la considero una fase della mia formazione artistica a cui aspiro ma che non ho ancora sviluppato pienamente. Credo serva tanto studio e sperimentazione ed è su questo aspetto che sto lavorando.
Hai qualche progetto fotografico in gestazione e ce ne vuoi dare un accenno? (senza svelare troppo le tue idee)
Attualmente sto editando una serie fotografica realizzata questa estate che riguarda il nostro territorio. E’ un progetto abbastanza lontano da quanto ho prodotto finora. Sicuramente la tendenza è quella di continuare a lavorare a progetti organici e compiuti.
In due righe pensa di voler convincere un amico a dedicarsi alla fotografia cosa gli diresti?
Gli racconterei cosa è per me la fotografia e perché me ne sono innamorato. Intanto è un ottimo motivo per uscire di casa, viaggiare e guardare con occhi curiosi e diversi la vita. E’ anche un’ottima terapia per stare bene con se stessi. Infine gli direi come sia sorprendente vedere le foto prodotte e riconoscere (o scoprire) in quegli scatti alcuni aspetti della propria personalità.
2. La foto del cuore
La mia foto del cuore non è la migliore che ho fatto (tutt’altro) ma è quella a cui emotivamente sono più legato. E’ stata scattata a Parigi il giorno seguente gli attacchi terroristici al Bataclan. Quella sera la città era deserta e ricordo come fosse avvolta da un silenzio irreale. Passeggiando lungo il ponte degli Artisti ho udito in lontananza delle note: era un musicista che stava suonando la marsigliese davanti alla Biblioteca Mazarine. Non c’era nessuno in giro tranne noi due.
3. Il portfolio
“Portrarts”
Ho provato ad interpretare alcune maschere in maniera personale, lontano dalle immagini convenzionali del carnevale e concentrando l’attenzione sulla personalità dei soggetti ritratti. La nobiltà delle figure rappresentate e la gestione delle luci ricordano probabilmente certi vecchi dipinti d’epoca perché ad essi mi sono ispirato.
4. Il commento
Fin dalla nascita della fotografia fu grande la richiesta di ritratti da parte della borghesia tanto che ci fu un proliferare di ateliers fotografici, dapprima in America (a New York nel 1840) e in Europa (il primo fu aperto a Londra nel 1841), poi in Italia (dal 1844, ad opera inizialmente di fotografi stranieri, ma già dal 1850 si consolidarono ed espansero in tutta la Nazione). Agli inizi molti fotografi erano pittori convertiti alla nuova arte per poter continuare a lavorare. Da principio vennero usati sfondi uniformi, ma nel 1842 il ritrattista francese Antoine Claudet introdusse l’uso di fondali dipinti. Con l’età del collodio e dell’albumina la diffusione del ritratto fu rapida, interessando anche le classi sociali meno ricche e questo permise di apparire finalmente “in effigie”: <l’essere umano esce dalla massa indistinta e prende coscienza della propria individualità attraverso l’immagine di sé> (Ritratti al Plurale-Vicenzo Marzocchini).
La moda del ritratto fotografico ebbe un grande sviluppo con la carte de visite che diede il via all’album di famiglia, dove si raccoglievano, accanto alle immagini della propria famiglia, quelle dei regnanti e dei personaggi famosi della cultura, del mondo politico e dello spettacolo. Album che assolvevano al compito sociale delle relazioni, degli affetti e della memoria da mantenere vivi, del ricordo di situazioni e avvenimenti popolari, soddisfacendo l’inconscio desiderio di possedere le persone e le cose ritratte, perché l’icona funge da sostituto dell’assente, secondo una tradizione che caratterizza il pensiero occidentale. Tutto è destinato a dissolversi nel nulla ma la fotografia risponde al desiderio di fermare la corruttibilità dell’essere. <La foto è letteralmente una emanazione del referente> scrive R.Barthes, <Pittura e scultura dovranno rassegnarsi: soltanto la pellicola impressionata potrà infatti essere paragonata all’acqua magica della fontana su cui si china Narciso> (P.Valery).
Ando Gilardi, fotografo e storico della fotografia, dichiara che <per fare dei buoni ritratti, la prima cosa essenziale è l’educazione dell’occhio; cioè quella facoltà che lo renderà atto a vedere quello che vuole riprodurre>.
E Daniele Ferretti mi sembra abbia ben chiaro come vuole rappresentare i suoi personaggi: secondo i suoi principi di ricerca del bello, dell’armonia delle forme, della linearità della composizione. Ritratti pittorici dove per la maggior parte i protagonisti ci guardano dritti negli occhi e, come scrive R.Bartes nei suoi saggi, l’effetto prodotto è di verità (-) Lo sguardo agisce come l’organo stesso della verità: il suo spazio d’azione si situa al di là dell’apparenza (-) che quanto è percepito sia più vero di quanto semplicemente si offre alla vista.
Pur nella teatralità della messa in scena sembrano dirci: “eccomi, sono realmente io, nella mia condizione, nella mia epoca”.
(Giancarla Lorenzini)
Ho conosciuto Daniele in occasione di una sua mostra al CircolOff di Ancona; il tema dell’esposizione era il medesimo del portfolio qui presentato, anche se ricordo altri volti e altri abiti, sempre sontuosi e provenienti da mondi passati.
Debbo dire che vedere stampe di buon formato rende molta più giustizia ai lavori di Daniele, potendo cogliere dal cartaceo sfumature e particolari che sul monitor è difficile rendere e poter cogliere appieno.
Questo aspetto “tecnico” non fa perdere però ai ritratti di Daniele il fascino di quei volti, usciti da chissà quali realtà; ritratti in cui la gestione delle luci assume un ruolo fondamentale per mettere in mostra i tratti somatici e le espressioni dei soggetti fotografati, ma anche i particolari dei tessuti, dei merletti che impreziosiscono gli abiti. Sapienti giochi di chiaroscuri guidano l’occhio di chi osserva, facendo apprezzare ritratti di non comune fattura.
Complimenti a Daniele, e lo attendo con impazienza su altre esperienze fotografiche, come lui stesso ha voluto accennare nell’intervista sopra riportata.
(Sauro Marini)
5. Dove trovate Daniele
Sito personale: www.danieleferretti.it
Pagina Facebook: www.facebook.com/danieleferrettiphotographer
Instagram: www.instagram.com/danieleferretti1972
DailyBasket: www.dailybasket.it/author/daniele-ferretti/
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