Umberto Dolcini ha partecipato all’Autore dell’anno nel 2010 e nel 2013 risultando finalista; nel 2011 è risultato vincitore con il portfolio “Captivi”
1. L’intervista
In 5 righe descriviti come fotografo
Faccio fotografia da circa 50 anni. E’ una bella compagna di vita specialmente adesso che essendo in pensione, ho più tempo, nipoti permettendo. Alcune volte, specialmente quando lavoravo in analogico, il solo rumore dello scatto mi appagava.
Quando e come ti sei appassionato al mondo della fotografia e che posto occupa nella tua vita
Mi sono appassionato alla fotografia vedendo il ritratto di un uomo dalla cui bocca usciva tantissima saliva, foto intitolata “l’ebete”. Mi sono detto che avrei voluto fare anche io foto che ‘colpissero’ come quella. Oggi non farei mai una foto come quella.
Come si è evoluta la tua cultura fotografica: pratica, partecipazione a corsi, studio dei grandi autori, visite a mostre, ricerche sul web, libri di tecnica…
Ho cominciato con foto tipo ‘cartolina illustrata’, forse perché piacevano, poi mi sono reso conto che non era la strada giusta se volevo quello che una attività artistica può dare a me e agli altri. Ho voluto uscire dalla dipendenza della scelta dettata dalla bellezza estetica del soggetto.
Hai dei generi fotografici che prediligi o ti piace la fotografia a 360°? Se vuoi motiva la tua scelta
Le mie preferenze vanno alle foto di interni (il fascino delle luci e delle ombre), ai particolari specialmente se ‘nascosti’ ed alle persone che, comunque, siano proporzionalmente piccole o sfuocate diventano sempre ‘il soggetto’ principale.
Rapporto analogica/digitale e rapporto colore/bianconero, come ti muovi nei confronti degli eterni dilemmi di fondo che agitano la vita di un fotografo?
Oggi scatto solo in digitale ma il passaggio non è stato indolore perché la magia della camera oscura, l’attesa della foto che lentamente va formandosi nello sviluppo, non l’ho più avuta.
Partecipi alla vita di un fotoclub? Puoi motivare questa tua scelta? Cosa ti affascina delle attività collettive?
Partecipare ad un foto club per me è stato importante perché ho potuto vedere le diverse interpretazioni che altri hanno dato della stessa situazione fotografica. La critica, se onesta, accelera notevolmente la formazione fotografica.
Come sei entrato nel mondo del portfolio fotografico e come vivi adesso queste esperienze?
Dopo il primo periodo di entusiasmo ‘qualunquista’ la mia attività fotografica si è indirizzata alla scelta di temi, sociali e non, senza però escludere lo scatto occasionale.
Hai qualche progetto fotografico in gestazione e ce ne vuoi dare un accenno? (senza svelare troppo le tue idee)
L’attuale progetto è la scoperta di luoghi fotograficamente interessanti ma semi sconosciuti.
In due righe pensa di voler convincere un amico a dedicarsi alla fotografia, cosa gli diresti?
Una foto racconta molto di più di quello che dieci righe scritte cercano di spiegarti.
2. La foto del cuore
La foto del cuore varia da momento a momento, delle volte è anche influenzata dall’apprezzamento degli altri, ma se mi fermo un attimo, e penso, mi viene in mente una fotografia che mi ha dato molte soddisfazioni. E’ la foto di una famiglia di agricoltori in un interno fatta una “domenica mattina” (titolo dello scatto).
3. Il portfolio
“Captivi”
Per il mio racconto fotografico “captivi” mi ricollego a quanto ho scritto qui sopra. Volevo descrivere un luogo sconosciuto ai più. Un luogo dove nessuno parla mai di se stesso, dove tutti sanno e vedono senza guardare niente e nessuno.
4. Il commento
Una scalinata ci induce ad andare verso il buio che ci inghiotte …
Entriamo in un luogo oscuro, estrapolato dal mondo, dove il silenzio sembra scandire le ore e il tonfo pesante delle porte di ferro rinnova ogni giorno la sentenza; dietro quelle sbarre tutto si fa stretto, fisicamente e mentalmente, a limitare una libertà che ormai è fuori da quei confini obbligati, da quei gesti obbligati, da quei volti obbligati… ogni giorno sempre uguale all’altro, come in un copione …
Umberto Dolcini con grande capacità ci mette in contatto con un vissuto altrimenti sconosciuto, dove ogni gesto cerca di dare senso al proprio vivere quotidiano, rinnovando così la capacità di restare in vita, di restare aggrappati ad una speranza e a tutto ciò che ora non si ha più.
Guardando le immagini il silenzio si fa assordante nel vuoto dei luoghi impersonali: è lontano il brusio delle strade, delle piazze, dei luoghi animati, il rumore delle auto e dei passi frettolosi, delle risa, della vita familiare nelle case con tutto il suo calore, delle foglie mosse dal vento negli spazi aperti …
Le ore si fanno eterne e i pensieri, fitti nella testa, non raggiungono le labbra; rimangono muti in quella solitudine che paradossalmente non dà la possibilità di stare soli con sé stessi.
Queste fotografie ci fanno sentire tutto il vuoto che è ingabbiato in quelle mura.
Fuori c’è il sole ma si può soltanto sfiorarlo: dentro a quelle celle, a quei corridoi, l’ombra della colpa da scontare è sempre lì minacciosa.
(Giancarla Lorenzini)
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