Dodici fotografie dedicate ad artisti di vario genere.
Ho voluto ritrarre persone celebri e no, impegnate in vari campi artistici; da quelli canonici, quali pittura, musica, canto, scrittura, a quelli artistici in senso lato, come gli  artigiani di suprema bravura.
Le fotografie sono scattate prevalentemente in digitale usando una Camera Canon 60d. Alcune in analogico con una Camera Leica M6.


BIOGRAFIA

Sono nato nel 1952 in provincia di Fermo. Pratico la fotografia come pura passione da quando, ancora alle elementari, ricevetti una macchina fotografica Eura Ferrania come premio per una raccolta punti.
In quegli anni vivevo con la mia famiglia a Carassai, un piccolo centro della valle dell’Aso. In paese c’era un vecchio fotografo (magari all’epoca aveva meno della mia età attuale) sordomuto. Aveva un piccolo studio e soprattutto una grande gentilezza. Con i suoi semplici gesti e con il suo linguaggio gutturale, quando andavo a ritirare le mie foto stampate,  mi spronava a proseguire nella mia passione. Ricordo le piccole foto stampate a contatto ( l’Eura usava il formato 120 ) e rifilate con la taglierina che lasciava i bordi frastagliati: in quegli anni quel tipo di presentazione era molto di moda. Pochi anni dopo, messe insieme un po’ di mance, comperai una Agfa II e passai al 24×36. Il passo successivo una Nikkormat e, con i primi stipendi, una Leica M4.
La passione per la fotografia mi ha fatto incontrare persone molto importanti per la mia vita: sia sul piano strettamente personale (mia moglie Grazia, i miei amici Claudio, Giorgio, Ivo, Mario, Zeno), sia su quello della pratica fotografica (Mario Dondero, Mario Giacomelli), sia sull’altro vastissimo dell’Arte (Carlo Cecchi, Gastone Pietrucci, Daniele Di Bonaventura, Angelo Ferracuti, Stefania Donzelli).
Attualmente, con i miei amici storici e compagni di avventure fotografiche, sto lavorando all’organizzazione della seconda edizione di Ancona Foto Festival.


Indice degli artisti ritratti

01 – Ireneo Alberti – Liutaio – Fabriano, 1990
02 – Fabrizio Antognozzi – Ceramista – Monterinaldo, 2016
03 – Marco Tarantelli e Matteo Aronne – Liutai – Jesi, 2016
04 – Emanuele Bozzi – Vasaio – Montottone, 2016
05 – Angelo Ferracuti – Scrittore – Fermo, 2016
06 – Adelaide Ricci – Oboista – Roma, 2016
07 – Giuseppe L. Quagliano – Liutaio – Jesi, 2016
08 – Stefania Donzelli – Cantante –  Soprano – Fermo, 2016
09 – Leonilde Radicioni Boccoli – Specialista Pastaia – Ancona, 2016
10 – Mario Giacomelli – Tipografo  –  Fotografo – Senigallia, 1991
11 – Carlo Cecchi – Pittore – Jesi, 2016
12 – Gastone Pietrucci – Etnomusicologo – Jesi,2016


IL COMMENTO

Il ritratto ambientato è stato utilizzato da molti fotografi, ma è il fotografo statunitense Arnold Newman (1918-2006) ad esserne considerato il padre. Egli ha fotografato tantissimi importanti personaggi, da artisti a presidenti, e il suo modo di fotografare era basato sul rapporto di empatia nei confronti di chi ritraeva.
Scrive lui stesso: «Io non voglio fare una foto con alcuni oggetti sullo sfondo. L’impostazione non deve solo integrare la composizione, ma anche “spiegare” la persona. Ciò che c’è intorno aiuta sia la composizione che la comprensione della persona. Non importa chi sia il soggetto, è la fotografia stessa che deve essere interessante. Fare il ritratto ad una persona famosa non significa niente».
In effetti in questi ritratti che ci mostra Danilo Antolini le ambientazioni ci danno degli indizi aggiuntivi che ci aiutano ad entrare nell’interiorità di chi abbiamo davanti. L’ambiente in cui viviamo è sempre pregno di noi: delle nostre abitudini, dei nostri gusti, della nostra personalità. Quindi sia che si tratti di un ambiente reale o simbolico lo spazio circostante non è solo lo sfondo ma parte integrante del personaggio. I ritratti ambientati iniziano a colmare il vuoto interpretativo che circonda quella persona e il suo ruolo nella storia.
In “Camera chiara” Roland Barthes, semiologo e critico letterario, scrive «nella foto-ritratto quattro immaginari vi s’incontrano, vi si affrontano, vi s’incontrano. Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte».
Da questo rapporto tra fotografo e chi è ritratto “intimamente tacito”, quasi teatrale, di interpretare e recitare un ruolo nel momento dello scatto, nasce l’immagine che comunica allo spettatore.
Lo Studium, come lo chiama Barthes, è l’insieme degli elementi leggibili in termini strettamente visivi: l’abbigliamento, l’arredamento, gli oggetti simbolici e tutto quanto possa essere considerato in un certo qual modo superficie. Sotto questa superficie troviamo però il Punctum, cioè l’essenza dello scatto, o meglio l’elemento che spinge chi guarda ad una lettura dell’immagine in termini emotivi, libero dalle catene della materia. Ed è proprio lì, forse, che riusciamo ad “incontrare” chi vediamo nel ritratto.
(Giancarla Lorenzini)