Con Emilio Vendramin, odierno ospite del nostro sito, ci si incrocia da tanti anni, se non erro dalle mie prime frequentazioni del Circolo Fotografico Amici di Carlo, anche se lui ha alle spalle una storia più lunga e intensa della mia.
Sono molto contento di riuscire oggi, finalmente, a pubblicare un suo lavoro, che fa parte di una interessante esperienza collettiva nel progetto “Palombellissima”, della quale lui parla nel testo che trovate di seguito.
Da quel progetto ha tratto il lavoro “Ancona, quartiere Palombella, quello che non vedi passando in auto…”, che sottoponiamo alla visione dei nostri amici.

– L’intervista

In 5 righe descriviti come fotografo

Amo la fotografia ed il fotografare; cerco di conoscere la prima, per divertirmi praticando il secondo.

Quando e come ti sei appassionato/a al mondo della fotografia e che posto occupa nella tua vita

La prima “macchinetta” – il diminutivo è voluto – era di plastica ad ottica fissa, formato 127, avuta con i punti dei fustini di detersivo. Negli anni che sono passati da allora, molti, non ho mai smesso di fotografare. Ho usato attrezzature diverse (nell’ordine Voigtlander, Pentax, Contax, Rolleiflex, Leica).  Dopo la fase “proiezione dia al ritorno dalle ferie” ho cominciato con il bianconero, e li la mia vita di fotografo ha fatto quello che io considero un passo in avanti. E da allora, non mi sono ancora fermato.

Come si è evoluta la tua cultura fotografica: pratica, partecipazione a corsi, studio dei grandi autori, visite a mostre, ricerche sul web, libri di tecnica.

Ho cominciato guardando nel mirino scattando, senza alcun senso né preparazione.  Poi un giorno di molti anni fa ho potuto partecipare ad una vera full immersion al C.R.A.F. di Lestans.   Subito dopo una due giorni nelle campagne senesi, parlando di fotografia e soprattutto ascoltando quello che considero il mio maestro di camera oscura, Roberto Salbitani.  Questi due eventi li considero come tappe fondamentali della mia crescita fotografica e personale. Poi ci sono state tantissime esposizioni visitate sia in Italia che all’estero.  Una che ricordo con emozione ancora viva è stata quella dedicata, molti anni fa, a Robert Doisneau alla Galerie Municipale du  Chateau d’eau di Tolosa, un’altra assolutamente emozionante quella con le foto dei Gitani di Josef Koudelca durante Les Recontres d’Arles e, ultima in ordine di tempo, la retrospettiva dedicata dalla città di Fermo a Mario Dondero.  Almeno una volta all’anno, comunque, mi regalo un viaggio alla Casa Tre Oci di Venezia, dove le mostre di fotografia si susseguono una dopo l’altra.  È difficile e forse sarebbe troppo lungo ed inutile un’elencazione, ma nella mia libreria ho tutti  i cataloghi che aiutano il ricordo. Le mostre fotografiche vanno viste per diversi motivi. Ne cito un paio: il piacere di vederle, lo studio delle opere dei grandi e piccoli maestri per imparare senza scopiazzare.  Poi, ovviamente non possono mancare ricerche in rete, libri e tutto quanto altro oggi disponibile.

Rapporto analogica/digitale e rapporto colore/bianconero, come ti muovi nei confronti degli eterni dilemmi di fondo che agitano (scherzosamente) la vita di molti fotografi?

Analogico e digitale: li uso entrambi, senza farmi problemi.  Fotografare è avere qualcosa da dire, inquadrare è comprendere una porzione di realtà in un preciso perimetro. Fotografare è un po’ come riempire delle pagine vuote. Non è importate con cosa si scrive, è importante scrivere bene.

Hai dei generi fotografici che prediligi o ti piace la fotografia a 360°? Se vuoi motiva la tua scelta

Semplificando, e avvicinandomi molto alla mia realtà, potrei dire semplicemente street photography.   Ma così la risposta sarebbe incompleta.  In realtà il più delle volte, quando ho fatto qualcosa di fotograficamente buono, ho praticato quella che è stata definita, su di me ma non da me, fotografia sociale.  Ho alle spalle alcune esperienze, tutte concluse con mostre personali e/o pubblicazioni. Fra quelle che ho amato di più – si, la fotografia non va solo praticata, va amata – ricordo un’indagine sulle strutture dell’ex-manicomio di Ancona che ha generato un lavoro a più mani intitolato “Il silenzio di ciò che rimane”, una condivisione di vita di banchina e a bordo di un peschereccio da cui è nato il lavoro “Viale del sardone”.   Poi i miei “Appunti per una vacanza in Giordania” e, al ritorno da una missione umanitaria nel deserto dell’Hammada, “Shukran Saharawi”.   Infine cito il libro fotografico “Campioni”, che ho realizzato per la Lega Del Filo d’Oro.

Partecipi alla vita di un fotoclub? Puoi motivare questa tua scelta? Cosa ti affascina delle attività collettive?

Negli anni scorsi ho frequentato alcuni fotoclub nelle Marche.  In uno per diverse stagioni ho tenuto corsi di fotografia.  Poi, quando in queste frequentazioni non ho più trovato motivi di interesse, ho smesso.  L’unica attività collettiva che conservo da oltre dieci anni è quella di “L-Passion-Forum”, un’ agorà virtuale dove conto molti amici.  Parliamo di tecnica e di fotografia.  Esponiamo in mostre fotografiche, realizziamo progetti a tema che qualche volta danno vita a delle pubblicazioni.

Come ti poni nei confronti del portfolio fotografico e come vivi questa esperienza?

Penso ad una definizione che ho letto negli anni scorsi in una pubblicazione FIAF ed è “…si può intendere per “portfolio” un complesso coerente di immagini finalizzate a esprimere un’idea centrale…”  Se accettiamo questa impostazione dobbiamo in primis avere un’idea precisa, in secundis possedere le abilità tecniche per realizzarla.  Non è semplice ma certamente è una sfida che va affrontata. A volte, quando riesco a stabilire un ragionevole rapporto empatico con il soggetto sotteso all’idea, mi piace provarci.

Hai qualche progetto fotografico in gestazione e ce ne vuoi dare un accenno? (senza svelare troppo le tue idee)

Sto portando avanti un progetto collettivo con gli amici del forum, siamo a buon punto, ma è troppo presto per parlarne.

In due righe pensa di voler convincere un amico a dedicarsi alla fotografia, cosa gli diresti?

Fotografare è divertente ma farlo bene è faticoso. Nell’epoca in cui va di moda, grazie alla tecnologia riversata sui nostri smartphone, il point and shot, non dimentichiamo che il fotografare non è solo premere un pulsante. Chi accetta questo provi e non se ne pentirà.

– Il portfolio

“Ancona, quartiere Palombella, quello che non vedi passando in auto…”
Questi brevi appunti fotografici nascono dopo alcuni incontri alla Casa del Popolo, a cui ho partecipato, nell’ambito del progetto Palombellissima (https://www.palombellissima.it/); sentendo i racconti di alcuni anziani che ancora vivono nel mio quartiere, ho cercato di vedere cosa fosse rimasto, dietro la cortina di case che affacciano su via Flaminia.

– La foto del cuore

“Non ho una foto del cuore, tutte le mie foto le ho nel cuore”

– Dove trovate Emilio

Ho un sito web http://www.emiliovendramin.it/ che non curo molto