Gianluca Uda, l’ospite di oggi, doveva partecipare all’edizione 2020 di Ancona Foto Festival con un reportage sui pescatori Ecuadoriani di Porto Lopez. Purtroppo il Coronavirus, oltre agli incalcolabili danni umani, economici e sociali provocati nel mondo, ha fatto rinviare anche il nostro piccolo Festival di fotografia, ma l’impegno per riprendere i fili interrotti appena possibile è rimasto totale e inalterato.
Gianluca vive in Italia, ma nel periodo dell’esplosione del Corona virus era in Brasile, dove ha sperimentato direttamente la follia di un potere che ha nascosto e negato la realtà dei fatti, lasciando esplodere il contagio in misura incontrollabile. Da questa esperienza è nato un reportage, pubblicato sul sito LENSCULTURE come Opera ufficiale COTM COVID19 (vedi qua il portfolio)

– La fotografia per Gianluca

Benvenuti… la fotografia è l’unico modo con cui possiamo bloccare la luce, piccole particelle che si muovono in gruppo a cui gli scienziati hanno dato il nome di fotoni. Noi esseri umani vediamo solo un campo ristretto di luce, i nostri occhi non vedono tutto. Questo non avviene solo nel mondo microscopico. Nel nostro mondo, fatto di elementi che si possono toccare, vedere e cambiare spesso decidiamo di non vedere alcune cose.
Non possiamo vedere ciò che si trova troppo lontano e non vogliamo vedere ciò che non ci piace… queste pagine servono per vedere.
La fotografia è un mezzo che può essere usato su più fronti, lo scopo di queste narrazioni fotografiche è quello di documentare situazioni ed eventi in cui l’uomo viene privato dei suoi diritti. Spesso le vittime sono i più fragili come i bambini o le donne, sono le nazioni cosiddette non occidentali i luoghi lontani i più colpiti da situazioni di emergenza sociale e politica.
Lo scopo di questo sito è quello di mostrare un lato nascosto dell’umanità, per risolvere un problema, un conflitto, prima dobbiamo conoscerlo. Queste pagine servono a questo… buona visione.

Presentazione dal sito www.gianlucauda.com

– Biografia

“La fotografia non sa mentire, ma i bugiardi sanno fotografare.” Lewis Hine

Gianluca Uda nasce a Roma nel 1982.
La fotografia è sempre stata una costante della sua vita. Apprende i rudimenti della tecnica fotografica da suo padre Francesco. Poco più che bambino, il padre gli regala una Canon FTB a pellicola è li che comincia l’esplorazione fotografica di Gianluca.
Gianluca Uda abbandona per diversi anni l’hobby fotografico ma durante un viaggio in Egitto riprende in mano una macchina fotografica, ormai i tempi erano cambiati e la pellicola era stata sostituita dal digitale.
Durante il viaggio in Egitto, Gianluca riscopre l’arte fotografica ma oltre a questo vecchio incontro ne fà un’altro.
Gianluca vede per la prima volta le condizioni di vita dei paesi poveri, quest’incontro gli smuove qualcosa dentro.
Rientrato a casa rivede le foto scattate e capisce che la fotografia potrebbe essere un buon mezzo per narrare storie, capisce che l’informazione fotografica potrebbe essere il mezzo per cambiare qualcosa.
Nel 2008 cominciano i viaggi all’estero di Gianluca Uda, dove la fotografia sarà ancora un elemento marginale della sua professione.
Vivrà tre mesi in Tanzania nella piccola cittadina d’Iringa in una casa famiglia con dei bambini. L’esperienza lo farà innamorare dell’Africa e del suo popolo, pieno di contraddizioni e cultura.
Nel 2009 partirà come Casco Bianco con l’associazione APG XXIII in Bolivia. Vivrà un anno a La Paz, capitale boliviana. Il progetto che seguirà sarà quello di aiutare i ragazzi di strada della capitale boliviana, giovani ragazzi intrappolati da droga alcol e violenza, il centro dove svolge il servizio è il primo approdo che hanno i ragazzi di strada per poter cambiare la propria vita.
Finito il servizio come casco bianco, viene proposto a Gianluca Uda un anno in Bangladesh.
Vivrà in una missione nel sud est del paese asiatico. Qui ha modo di approfondire il linguaggio del reportage fotografico anche grazie alla conoscenza del fotografo romano Luca Catalano Gonzaga.
La cultura bengalese lo avvolgerà e così decide di partire per una nuova missione umanitaria nello stato dello Sri Lanka dove vivrà per quasi un anno.
Dal 2011 fino al 2013 lavorerà in Kenya come cooperante con l’organizzazione non governativa L’Africa Chiama.
In questi anni oltre a dare supporto alle attività dell’associazione darà vita al progetto Lamiere.
Lamiere è un racconto fotografico sulla vita degli slum del kenya. Lamiere diverrà un libro fotografico edito da areablu edizioni, il libro arricchito da una prefazione di Alex Zanotelli servirà a raccogliere fondi per garantire un futuro migliore ad alcuni bambini di strada di Nairobi grazie al progetto solidale specialchildren.
Lamiere diverrà anche una mostra itinerante che girerà varie parti d’Italia fino ad arrivare al festival della fotografia etica di Lodi.
Dopo l’esperienza Africana Gianluca Uda si trasferirà in Ecuador dove vivrà per più di due anni.
Gianluca, dopo un periodo in Brasile, ora vive in Italia.

– Il portfolio

“Gli invasati di Ganesh”

In un piccolo villaggio Tamil, a pochi chilometri dalla città di Ratnapura nel cuore dello Sri Lanka un gruppo di uomini e donne rendono omaggio alla divinità Induista Ganesh.
Ganesh è il Dio con testa da elefante, grande stomaco, quattro braccia, una zanna mozzata e un topolino sempre al suo fianco.
I Tamil dello Sri Lanka sono arrivati come schiavi, portati dai coloni inglesi e dove venivano sfruttati per lavorare le piantagioni di tè.
Con la fine della guerra, durata 26 anni, tra i ribelli Tamil e l’esercito Cingalese le discriminazioni ancora non si sono placate e la minoranza Tamil ancora vive ai margini della società.
I Tamil Cingalesi hanno mantenuto la loro cultura rimanendo fedeli all’Induismo classico.
Ganesh è il simbolo di chi ha scoperto la spiritualità dentro di sé, è l’equilibrio tra forza maschile e forza femminile e sopratutto è il Dio del buon auspicio.
Nel mese di agosto si festeggia il Dio e nel piccolo tempio nel cuore della foresta i suoi devoti cercano il contatto con il divino.
Molti cadono in trance esaltati dal Dio e iniziano a danzare offrendo i loro corpi sudati alla folla radunata in attesa della grande immolazione.
Gli uomini più fedeli al Dio decidono di farsi infilare degli uncini lungo la schiena, per loro il dolore è solo un mezzo per raggiungere l’estasi.
Questi uomini vengono fatti danzare legati a delle corde per poi venire sospesi e innalzati a concludere il grande rito a Ganesh.
La loro è un’estasi che trascina gli spettatori, un perdersi nei labirinti della mente e del corpo per poi rinascere puri con la speranza che Ganesh possa guidarli lungo il loro cammino della vita.