
Il nostro amico Fabio Feliziani, romano ma di salde origini anconetane, già presente sul sito con il lavoro Personal selection, torna con un bel reportage sulla Festa della Stadura (1) a Villa Smeraldi (Museo della civiltà contadina, inaugurato nel 1979), sede Castello di San Marino di Bentivoglio (Bologna)
– L’intervista
In 5 righe descriviti come fotografo
Bastano due righe. La fotografia per me è curiosità per le persone, i luoghi e gli oggetti che nascondono e/o svelano una storia, poetica comica o dolorosa.
Quando e come ti sei appassionato al mondo della fotografia e che posto occupa nella tua vita.
Da sempre ho amato il cinema, la pittura, la storia dell’arte. Con la fotografia ho cominciato tardi, già oltre i 30 anni: un lavoro free-lance durante le ferie, guidato da un mio amico più esperto, di catalogazione di archeologia industriale delle Marche (verso il 1976); poi ho scattato fotografie di manifestazioni sindacali per molti anni a seguire; all’inizio del 1981 mi sono appassionato al reportage scrivendo articoli di itinerari a tappe di bici-trekking (allora pionieristici) pubblicati con mie foto sulle riviste La Bicicletta e Plein Air (dal 1983 al 1997). Oggi la fotografia è il mio diario di esperienze quotidiane. Ho partecipato a un paio di mostre fotografiche collettive nel 1991-92 e ad una negli ultimi anni con un paio di scatti ciascuna. Ora pubblico esclusivamente on-line su Facebook su alcune pagine di diversi gruppi e mi diverto a collezionare (se e quando accade) Best Photos, Covers, Special Mention, Special Awards, Top Photos… Sono un amatore di livello medio non professionista. Dal 2014 su Visure Acatastali (accessibile su Facebook) ho messo diverse cronache di uscite collettive esplorative guidate del territorio urbano di Roma, dal centro alle periferie più estreme, con molte mie foto e un discreto contributo di buone foto, negli ultimi tempi, di altre autrici ed autori.
Come si è evoluta la tua cultura fotografica: pratica, partecipazione a corsi, studio dei grandi autori, visite a mostre, ricerche sul web, libri di tecnica…
Tanto cinema tanta fotografia visti. Dal 1987-88 al ‘94 sono stato iscritto al Circolo Fotografico F4 di Roma affiliato alla FIAF (era diretto da Fulvio Galeota): un periodo fondamentale nel quale ho arricchito le mie tematiche, lavorando sulle luci e sui riflessi, iniziando a interpretare le geometrie architettoniche in termini “minimalisti”. Avevamo a disposizione una comoda Camera Oscura, una stanza di proiezione per Diapositive, una sala 20 m x 10 con fondali e banco ottico. Venivano invitati altri gruppi fotografici e fotografi noti. Ricordo con piacere un incontro con Roberto Koch (1988?) e le sue foto pubblicate da Contrasto. Negli anni successivi ho frequentato moltissime grandi mostre fotografiche a Roma, comprando spesso i cataloghi (non sempre completi, ma puntualmente – ahinoi !- costosi).
Hai dei generi fotografici che prediligi o ti piace la fotografia a 360°? Se vuoi motiva la tua scelta
Archeologia industriale, reportage, paesaggi, foto urbane, street, feste popolari, cerimonie. Praticamente tutto. Con la Olympus OM 10 con un tele 135 che mi permetteva di scattare foto senza che il soggetto si accorgesse di me, facevo discreti ritratti BN.Con le varie ottiche mi portavo dietro anche un corpo macchina OM 20 con rullino a colori. In passato rubavo ritratti, ora quasi mai per non disturbare le persone a meno che non siano consenzienti. Adesso che è consentito fotografare nei musei (o nelle chiese, che a Roma sono ricche di tesori artistici) e nelle mostre fotografiche, se è possibile per le luci e assenza di riflessi, mi fabbrico un catalogo, se non esiste. Il mio interesse per il minimalismo ora è meno marcato, perché non mi piace la modifica sempre più sfrenata, “artistica”, dell’immagine con il Photoshop.
Rapporto analogica/digitale e rapporto colore/bianconero, come ti muovi nei confronti degli eterni dilemmi di fondo che agitano (scherzosamente) la vita di molti fotografi?
La foto analogica è stata occasione per apprendere bene il lavoro di sviluppo e stampa: purtroppo solo dopo la stampa si vedeva il risultato. Il digitale permette di vedere subito la foto scattata e capire se c’è la possibilità di migliorarla eliminando particolari che “disturbano”. Colore e BN hanno approcci e possibilità diverse. Chi guarda la foto a colori vede un lavoro già “concluso”, mentre il BN lascia a chi guarda la “scelta” dei colori dell’immagine, che spesso è più suggestiva e meno dispersiva. La foto analogica è molto bella, morbida, vera. Il grande vantaggio del digitale è l’abbattimento dei costi. Al limite la stessa immagine si fotografa più volte a colori e in bianco e nero e con luce di differente intensità e provenienza, dato che luci ed ombre “girano” durante il giorno. Alla fine si scelgono solo un paio di immagini. Per fare un esempio di libri utili sulle luci artificiali: (avrei già dovuto capirlo da solo, perché sono un Chimico, ma …) da un libriccino di lezioni di Ghirri all’Università del Progetto di Reggio Emilia (lezioni del 1989-90) ho capito come mai in foto notturne con luci al sodio e al neon il fogliame degli stessi alberi passava dall’arancio fino al blu intenso (!).
Partecipi alla vita di un fotoclub? Puoi motivare questa tua scelta? Cosa ti affascina delle attività collettive?
Purtroppo no. Se sarà possibile, ho intenzione di coinvolgere un amico del Circolo 4F di più di 25 anni fa, che ora ha più tempo libero, nelle esplorazioni urbane di Visure Acatastali. In gruppo sarà più divertente e impareremo ed insegneremo qualcosa gli uni agli altri fotografi.
Hai qualche progetto fotografico in gestazione e ce ne vuoi dare un accenno?
Forse una Mostra Fotografica in una Biblioteca alla periferia di Roma, se riesco ad accordarmi con chi di dovere.
In due righe pensa di voler convincere un amico a dedicarsi alla fotografia, cosa gli diresti?
A questo amico direi: ” Lascia perdere il tuo smartphone. Prendi una piccola digitale compatta e facciamo un giro a fare foto insieme. Poi le guardiamo, confrontandole, e le rielaboriamo insieme.”
– Il portfolio
Il lavoro consta di 21 immagini realizzate nell’estate del 1996 al Castello di Bentivoglio, vicino Bologna, sede di un ricco Museo della Civiltà Contadina (inaugurato nel 1979) in occasione della Festa della Stadura*.
Si tratta di una festa popolare contadina e di arti e mestieri rari ormai abbandonati, con l’utilizzo di vecchie macchine agricole per lavorare la terra ed i raccolti.
Eravamo presenti in tanti per vedere al lavoro contadini esperti di lavorazione della canapa e artigiani agricoli. Più che un lavoro fotografico di archeologia industriale si tratta di un “capitolo di foto di Civiltà Contadina”. Una esperienza positiva.
Legenda delle immagini:
– foto 01-010 rappresentano la lavorazione delle canne di canapa a partire dalla marcita e la essiccazione delle canne legate in fascine verticali; esse vanno inviate al macchinario utilizzato per la “scavezzatura” (2) ; viene anche mostrato un contadino esperto di una scavezzatrice a mano per eliminare le parti più dure: un legno sottile percuote pezzi di canna marcita contro un altro legno con una fessura trasversale, e le fibre liberate vengono passate con un pettine di ferro; a questo punto la canapa è pronta per la filatura all’arcolaio effettuato da una esperta contadina
– foto 012-014 riprendono il lavoro di ferratura di animali e i finimenti costruiti da un fabbro ferraio
– foto 015 rappresenta lavori in cuoio di un sellaio per briglie e borse
– foto 016 e 017 riprendono il lavoro degli impagliatori di sedie. Nella 018 un potente trattore trascina una lama di aratro grande (chiamato in dialetto emiliano “al piò”) ultimando rapidamente l’aratura
– foto 019 e 020 raffigurano la festa, con grande grigliata (019) e orchestrina jazz da ballo per liscio e rock
– foto 021 con due persone all’ombra di una enorme macchina agricola dell’inizio del secolo scorso.
(1) La Stadura è l’asta per aggiogare le mucche che muovono il mulinello della “scavezzatrice”.
(2) La Scavezzatura: un mulinello azionato dal movimento delle vacche romagnole, aggiogate alla stadura*, libera la fibra delle canne per mezzo di una ruota dentata che batte contro un altro legno eliminando le parti vegetali marce e la canapa che esce può essere filata.
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