
Dopo una lunga lunga pausa riprendiamo le pubblicazioni dei nostri amici fotografi, e riprendiamo alla grande con Federico Biagioli.
In primo luogo perchè l’autore che presentiamo oggi è un amico di lunga data, socio del circolo Avis Giacomelli BFI di Osimo, ottimo fotografo, geniale, mai scontato – di lui ricordo un bellissimo lavoro in un denso still life in un Laboratorio Fiaf – ma sarebbe sbagliato limitare il terreno che lui ara con la sua macchina fotografica.
Basta ricordare che nel 2019 si è aggiudicato il premio come migliore opera alla selezione audiovisivo dell’anno FIAF Marche, con il suo lavoro dal titolo “Vita da homeless”.
Come lui stesso dice nella sua presentazione la fotografia è importantissima “non solo come immagine ma anche come strumento, come mezzo, il suo rapporto sociologico, antropologico, l’importanza del raccontare e del documentare”.
Il lavoro che presentiamo apre un finestra profondamente e intensamente umana su di lui, tanto da lasciare senza fiato chi osserva questo lavoro.
Confesso che ho avuto un attimo di incertezza quando Federico mi ha inviato il suo portfolio “Gioia e dolore“, perchè trovarsi di fronte ad immagini che scavano così a fondo nell’intimità di una famiglia non è assolutamente un fatto ricorrente. E confesso che ho voluto chiedere a Federico la conferma che lui ed il soggetto fotografato erano assolutamente convinti di rendere pubblica la loro storia, ottenendo una risposta decisa: “Vai tranquillo Sauro”.
Non vi dico altro, lascio a voi la visione del portfolio sperando che proviate le emozioni che lo stesso suscita e che a me ha suscitato.
Ora una auto-presentazione di Federico e, di seguito, il portfolio ed alcune righe sulla genesi del suo lavoro.
– Federico si presenta
Sono un fotoamatore che di professione fà l’operaio in un azienda che opera nel settore del legno ma mi presento sempre come fotografo perche altrimenti c’è sempre qualcuno che mi chiede un lavoretto in legno, al contrario invece nessuno mi chiede un servizio fotografico.
Per il resto preferisco la trattoria al ristorante stellato, mi piace vestirmi bene ma finisco sempre per indossare jeans e maglietta e non mi piace indossare la cravatta, neanche alle cerimonie. Compro sempre scarpe un numero più grande per starci comodo e non le slaccio mai quando me le tolgo.
Sono disordinatamente preciso e arrivo sempre in anticipo agli appuntamenti.
Quando e come ti sei appassionato al mondo della fotografia e che posto occupa nella tua vita
Il disegno è stato per me una passione con cui sono cresciuto sin da piccolo e che ho praticato fino all’età di 35 anni (circa). Con la nascita delle prime fotocamere digitali, negli anni 2000, avevo intravisto l’oppurtunità di poter velocizzare i tempi sostituendo le fotografie agli skizzi e così ne acquistai una a poco prezzo… ma non sapevo usarla. In precedenza avevo sempre fotografato con le macchinette a rullino usa e getta o quelle casalinghe in modalità automatica e l’uso che ne facevo era quello da “turista” e così quando mi ritrovai a voler fare qualche foto come volevo capii che dovevo imparare ad usare e conoscere questo mezzo. Frequentai subito un corso base dove conobbi il fotografo professionista Paolo Monina, e con lui l’anno successivo iniziai la frequenza di un corso. Fulminato sulla via di Damasco mi resi conto da quel momento delle potenzialità che ha la fotografia come mezzo di comunicazione e iniziai a dedicargli maggior tempo rispetto al disegno, fino ad abbandonarlo. Con il passare del tempo compresi sempre di più l’importanza della fotografia, non solo come immagine ma anche come strumento, come mezzo, il suo rapporto sociologico, antropologico, l’importanza del raccontare e del documentare. E poi è anche il mio “personal coach”. Mi ha aiutato ad essere meno timido, meno timoroso, meno insicuro, più curioso, determinato, caparbio e più consapevole.
Come si è evoluta la tua cultura fotografica: pratica, partecipazione a corsi, studio dei grandi autori, visite a mostre, ricerche sul web, libri di tecnica
Nella vita sono sempre stato un autodidatta, così anche per la fotografia cerco di evolvermi partecipando ai laboratori Fiaf, studiando gli artisti e i fotografi che più mi interessano, visitando mostre, facendo molta ricerca sul web e leggendo libri di qualsiasi genere ma soprattutto, cosa che ritendo sia la più importante, cerco di fare molta pratica.
Con il tempo però ho capito che nel mio caso non conta quanti libri leggo, quanti corsi frequento o quante mostre visito ecc. Conta quello che mi rimane di tutto ciò.
Ho letto vari libri d’arte e di fotografia ma poco mi è rimasto veramente impresso e di cui mi ricordo; questo significa che quelle cose hanno toccato delle corde che mi appartengono o in cui mi ci ritrovo e cerco quindi di metterle tutte in quello che è il mio bagaglio culturale per riversarle nel mio modo di fotografare.
Un’altro elemento che considero molto importante è la pratica. Lavorando da oltre 30 anni come operaio applico la stessa metodologia anche per la fotografia: lavorare sodo e a testa bassa con la consapevolezza che ci saranno sempre difficoltà e problematiche da risolvere perchè la teoria è una cosa… e la pratica un’altra.
Spiegandomi meglio con un banale esempio dico questo: Robert Capa diceva che “Se le tue foto non sono buone, vuol dire che non eri abbastanza vicino” ma è stato quando ho visto le fotografie di James Nachtwey che ho capito l’importanza di avvicinarmi ai soggetti da fotografare ed è stato vedere le fotografie di Marc Cohen e Bruce Gilden che mi ha fatto fare un ulteriore passo in avanti.
Una volta identificato dove, come e su cosa puntare l’obiettivo, rimane il metterlo in pratica… e qui “tutti i nodi vengono al pettine”.
Hai dei generi fotografici che prediligi o ti piace la fotografia a 360°? Se vuoi motiva la tua scelta
Guardo e apprezzo la fotografia a 360 gradi anche se prediligo la fotografia pubblicitaria, la ritrattistica, il racconto fotografico, il reportage, la street photograpy e la staged photography.
Mi piace quando la fotografia è immediata, diretta, comunicativa e comprensibile a un pubblico vario e ampio.
Adoro anche la fotografia concettuale… ma che non lo sia troppo!
Rapporto analogica/digitale e rapporto colore/bianconero, come ti muovi nei confronti degli eterni dilemmi di fondo che agitano la vita di un fotografo?
(sorridendo) Questo dilemma lo lascio sempre ad altri. Come ho detto provengo dal disegno e dalla pittura e in questo ambiente non ho mai sentito dire questioni tipo “fare murales con le bombolette spray non è arte! la vera
arte è fatta con i colori ad olio” oppure “la vera pittura è quella fatta creando i colori come si faceva una volta anziche comprarli già pronti nei tubetti” ecc.
Ho iniziato ad appassionarmi e dunque a fotografare con il digitale e per me la fotografia è in digitale (senza nulla togliere alla pellicola) ma se un domani sarà sostituita dall’AI non dirò che la vera fotografia è quella che si faceva con il digitale.
Guardo più il contenuto piuttosto che il mezzo utilizzato e la fotocamera deve rimanere un mezzo e non un fine. La tecnologia è sempre stata in continua evoluzione, mi ricordo che da piccolo avevamo un polaroid in casa; l’aveva comprata mio padre e mi aveva detto solo due regole per fare una fotografia; non era un fotografo però mi disse: metti il soggetto con il sole di fronte
e la mano ferma quando scatti. Due semplici regole che applicai oltre a dirigere, inconsapevolmente, la scena. Click, ed erano un forte entusiasmo quei secondi di attesa aspettando che l’emulsione nella pellicola facesse comparire lentamente l’immagine. Con il rullino l’attesa durava qualche giorno,
giusto il tempo che il laboratorio lo sviluppasse mentre oggi invece, con il digitale, quell’attesa non c’è più e possiamo vedere immediatamente la foto scattata.
Questo comporta che si impara prima e si scatta di più ma non bisogna mai dimenticarsi di “osservare, analizzare, pensare e riflettere” prima di scattare.
Per quanto riguarda il mio rapporto con il colore e/o il bianco e nero penso che ci siano situazioni che vanno fotografate in bianco e nero. Questo permette di sollevarsi dalla distrazione del colore e concentrarsi solo sul contenuto. Il colore lo trovo più complesso e riflessivo. La stessa foto fatta in bianco e nero non è detto che scaturisca lo stesso effetto su l’osservatore se convertita a colori. In una fotografia in bianco e nero, ad esempio, un palo della luce puo diventare una linea bianca o nera mentre in una fotografia a colori verrà sempre riconosciuto come un palo. E’ per questo che considero il colore un medium che richiede un’attenzione e una conoscenza diversa dal bianco e nero ma che sà dare in altrettanto modo delle belle soddisfazioni.
Mostraci la tua “foto del cuore” e spiegaci perché occupa un posto importante nella tua vita fotografica
Non ci crederai ma non ho foto del cuore. Ne ho tante a cui sono legato e in primis sono quelle che compongono l’album di famiglia che faccio durante le cerimonie, sia dei miei familiari, parenti e amici ma non posso scegliere se essere più legato alla foto del momento in cui nasce mia figlia o quella in cui ho impiegato decenni per far posare e sorridere i miei genitori davanti alla fotocamera o a quella in cui è ritratto l’amico che non c’è più. Sono troppe le foto importanti. Però posso dirti quale foto mi dispiace aver perso! (se ti interessa continua a leggere). Tempo fa ho erroneamente formattato un intero hard disk dove salvavo tutte le foto. Sono riuscito a recuperarne il 99% e mi sono accorto che ne mancava una. Da tempo ho inziato a fotografare il territorio e il suo cambiamento edilizio nel tempo e così nel 2011 feci una foto al Mercato Ortofrutticolo di Ancona in zona Baraccola. Oggi al suo posto è sorto il nuovissimo King Sport e altri negozi al passo con l’architettura moderna e di quella vecchia struttura non è rimasto più nulla se non la foto che scattai ma che sfortunatamente persi per sempre con quel maledetto errore. Aver perso questa fotografia mi dispiace veramente tanto e al tempo stesso mi fà comprendere che è una foto a cui èro legato.
Partecipi alla vita di un fotoclub? Puoi motivare questa tua scelta? Cosa ti affascina delle attività collettive?
Faccio parte del circolo fotografico Avis M. Giacomelli di Osimo dal 2011 partecipando attivamente.
Come sei entrato nel mondo del portfolio fotografico e come vivi adesso queste esperienze?
Sono stato abituato sin dai primi corsi di fotografia a lavorare con il concetto di portfolio ma è stato con la FIAF che ho approfondito la tematica del portfolio inteso come racconto fotografico.
Hai qualche progetto fotografico in gestazione e ce ne vuoi dare un accenno?
Sto realizzando un reportage su Camerano che è stato il mio paese natale in cui ho trascorso i miei primi 30 anni e che oggi, purtroppo, sta diventando un paese “morente”. Voglio lasciare questo reportage come testimonianza alle nuove generazioni di ragazzi che nascendo oggi e trovando il paese “vuoto” non sanno che negli anni 80/90/2000 per via del suo benessere economico, la sua importanza a livello innovativo, industriale e politico veniva soprannominato “la piccola Milano delle Marche” . Vi era la Farfisa, la più grande azienda europea produttrice di strumenti musicali elettronici, che da sola dava lavoro a circa 3000 persone e che si trovava dove ora è l’Ikea. Il Mercatone Zeta, il primo centro commerciale della provincia di Ancona (forse anche di tutta le Marche). La storia, le storie, le leggende, i personaggi, le credenze, che raccontano la vita e lo sviluppo di un piccolo paesino iniziato dai primi del ‘900 fino a luglio del 2021, data in cui l’ultima candela accesa che ancora faceva brillare il paese, si è spenta.
– Il portfolio
Il portfolio “Gioia e Dolore” non è nato con un idea progettuale bensì c’è stato un cambiamento e una presa di coscienza durante il percorso.
Quando ho iniziato, l’idea era quella di fotografare il periodo della maternità di mia moglie e la nascita di mia figlia, senza pretese né tecniche né artistiche”, ma poi, subito dopo aver partorito, è successo qualcosa di inaspettato e sconosciuto: il suo fisico si era indebolito al punto di non reggere più il suo stesso peso costringendo mia moglie a letto per mesi senza nemmeno la forza per poter prendere in braccio la figlia Sofia.
E qui presi consapevolezza che c’era qualcosa di importante che non andava e bisognava documentarla. Per oltre sei mesi ci siamo sentiti persi e abbandonati senza sapere dove e come potersi curare da quello che non si capiva se fosse un infortunio post parto o una malattia. Poi un giorno, su consiglio di un parente, andammo fuori regione per una visita di uno specialista che subito le diagnosticò un gravissimo stato di osteoporosi con conseguente frattura delle ossa. Dopo poco più di un anno dal parto, mia moglie venne operata alla colonna vertebrale. Due settimane dopo, per la prima volta, riuscì ad abbracciare la figlia Sofia.
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